SonoUnMito
Sponsor ufficiale della turpitudine

Luis è come un pedicello. Se mangi patatine fritte con la Nutella, ciambelle con la maionese e la pasta d’olive… il fegato si ribella, lo stomaco si subbuglia, l’intestino va in depressione e da quello schifo viene fuori un brufolo pieno di pus. Ecco. Luis è il risultato di una società putrida, affogata in tempi ancora più lividi.
“Sono un mito” racconta un uomo marcio, privo di qualsiasi possibilità di redenzione. Lo uso per tirar fuori emozioni negative, voglio far odiare il protagonista e chi lo racconta; non mi piacciono i libri che non stimolano la capacità critica del lettore. Ho scavato nel torbido, alla ricerca degli istinti più bassi e repellenti da appiccicare a Luis. Anche la scrittura, acida e scomposta, sottolinea la fanghiglia intellettuale del protagonista. Per ragioni di forma, il nostro ha anche qualche pregio, per onorare la differenza fra imporre dolore e torturare.
Creare un personaggio simile è come masticare a bocca aperta o fare una puzza a un pranzo di matrimonio. Una marachella morale, spaventosa e catartica. Sarà un miracolo se i parenti non mi toglieranno il saluto, dopo aver scoperto che sono capace di concepire una vita come quella di Luis.


Una lettura sagace troverà nel protagonista i difetti di una generazione: la mancanza di rispetto, la superficialità, l'ignoranza, l’incoerenza, l’esagerazione di ogni piccolissimo disagio e la repulsione per qualsiasi noia, l’egocentrismo e l’autoesaltazione, la volgarità, la mancanza di coraggio nell’affrontare la vita, la maleducazione, il possesso di difetti criticati negli altri, l’incapacità di sapersi giudicare e il gusto vivo di mettere alla sbarra il mondo intero.
Per ciò parlo di esperienza liberatoria. Sotto tanti di punti di vista, Luis è un mostro da additare. Per questo è comodo, fa parte di una categoria che serve a far respirare chi la disprezza.


C’è però un secondo aspetto, una chiave di lettura alternativa che mi va di suggerire. Luis è un personaggio forzato, pieno di difetti, persino caricaturale. Non esiste, ma purtroppo è realistico. Nessuno si stupirebbe se “Sono un mito” fosse un’autobiografia. Spaventano i pensieri, le parole e le azioni del protagonista. Appartiene a una categoria che cerchiamo di scansare. Ma sappiamo che il nostro vicino di casa potrebbe essere come lui. Non riusciamo ad allontanarci di più.


Anzi. Andando ancora più a fondo, aggiungendo alla lettura una dose di pessimismo e di spirito autocritico, possiamo intendere Luis come uno specchio rotto, che restituisce un’immagine sbagliata, ma in qualche frammento c’è esattamente qualcosa di nostro. Ne sono sicuro. In finale, guardare “Sono un mito” come uno specchio fa paura perché c’è un piccolo Luis in ognuno di noi. È il minimo comune multiplo del DNA umano. Ogni sentimento provato per lui va girato di 180 gradi. Questo è l’aspetto pauroso del racconto, ma anche il più affascinante. La morte biologica inizia con la nascita. Penso che il decadimento morale inizi qualche giorno dopo. L'essere sopravvivente scivola sempre più in basso. Ognuno di noi assorbe il mondo esterno e inevitabilmente peggiora col passare degli anni.
“Sono un mito” è sporco, ma è una critica pulita, a noi stessi. È uno sputo in faccia. Non ho alcuna intenzione di compiacere chi mi legge, ho voglia di farlo soffrire, mettendolo di fronte ad uno specchio rotto che riflette qualcosa di orribile che conosce perfettamente perché gli appartiene.


Christian Pettini
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